Per attori che non recitano

Per scrittori che non fingono e attori che non recitano

L’attore che non recita?

È quello che semplicemente vive.

È quello che agisce e parla ogni volta come fosse la prima ed unica volta.

Quello che è presente a se stesso, alla scena e agli altri colleghi.

Quello che ascolta ciò e chi ha intorno, lo spazio come le parole dette.

Quello che per ogni azione che deve compiere tiene presente tutta la storia in cui quell’azione è inserita (una storia che prevede un momento prima e un momento dopo quella singola azione da agire).

Quello che si dimentica di sé e con generosità “sparisce” per dar vita al personaggio, sicché lo spettatore non vede più l’attore, bensì solo l’eroe della commedia.

Non recitare vuol dire non fingere.

Per non fingere ci vuole dunque generosità, umiltà, piacere, sensibilità, disponibilità al gioco, capacità di immedesimazione e molto ascolto.

Solo su questa base si possono aggiungere tutti gli artifici tecnici e i trucchi del mestiere che comunque servono per far si che il talento diventi arte.

Anche nella scrittura l’importante è non fingere.

Sembra un paradosso, visto che quella dell’inventare storie è l’arte più artificiosa e di finzione. Eppure è così: il processo creativo di un attore è per molti aspetti molto simile a quello di uno scrittore.

Cos’è che accomuna le due arti?

L’obbligo di creare fatti, storie, personaggi, situazioni credibili.

È la credibilità che dà vita all’illusione ed è l’illusione che conduce lettori e spettatori a stringere il patto che scrittori e attori gli propongono: “Credimi, seguimi e divertiti del mio stesso divertimento. Farò in modo che tu non veda mai l’artificio, ovunque ti possa condurre, e tu mai un momento dubiterai che quel che vedi o leggi non sia realmente successo.”